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Lo shuttle porta in orbita la cupola «made in Italy»

Dal nostro inviato Daniele Lepido

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Il lancio dello Shuttle

KENNEDY SPACE CENTER - Sono già chiusi nella "schiena" dello shuttle la cupola e il nodo 3, i "pezzi spaziali" realizzati a Torino da Thales Alenia Space. Due moduli che incarnano la sintesi tutta italiana di estetica e spessore scientifico: da un lato il micro laboratorio di vetro e alluminio "dal design michelangiolesco", come dicono alla Nasa, montato su un cilindro alto sette metri che servirà da centrale energetica, generatore di ossigeno e depuratore delle acque.

Una maxi lattina, perché così appare, di minor impatto visivo rispetto alla cupola, che contiene anche una piccola palestra con tapis roulant e vogatore, ma pensata per mantenere in vita, insieme agli altri due nodi, una stazione spaziale grande come un campo da calcio, a 400 chilometri sopra le nostre teste. Un carico da 170 milioni di euro, circa 150 il nodo e venti la cupola, che domani verrà spedito nello spazio grazie al passaggio fornitogli dall'Endeavour, qui al suo ultimo lancio notturno, alle 4,39 ora della Florida (10,39 in Italia), nella missione denominata Sts-130 (si veda Il Sole 24 Ore di ieri).

A poche ore dal conto alla rovescia dell'Endeavour, che in luglio chiuderà definitivamente la sua carriera portando l'astronauta italiano Roberto Vittori alla volta della stazione internazionale, è cupa l'atmosfera che si respira a Cape Canaveral, così come sono scuri i volti al Kennedy space center, il simbolo della corsa allo spazio che risentirà più di altri della nuova politica spaziale del presidente Obama, più orientata ai voli commerciali con l'apertura a grandi contractor privati.

«La cancellazione del programma Constellation per riportare l'uomo sulla Luna entro il 2020 era probabilmente la cosa giusta da fare», ha detto ieri il numero della Nasa, Charles Bolden, nel tentativo di tranquillizzare i suoi uomini. Un tema, il bis del 1969, che invece trova nuove sponde nel vecchio continente: «Non è escluso che si ritornerà sulla Luna in un'ottica di più intensa collaborazione tra tutti i paesi» spiega Simona Di Pippo, direttrice per l'Ente spaziale europeo dei voli che prevedono la presenza dell'uomo. E infatti «già la missione della cupola è un bell'esempio di collaborazione tra Nasa ed Esa», ha ribadito Bernardo Patti, numero uno della stazione internazionale.

Gli italiani intanto arrivano soddisfatti in Florida, con un po' di quella apprensione che in fase di prelancio diventa rito scaramantico. Come Walter Cugno, 55 anni, l'ingegnere responsabile dei nodi due e tre, da 35 anni di stanza a Torino a lavorare con i suoi progetti sulle strumentazioni utilizzate dagli astronauti. «A metà degli anni settanta a Torino eravamo in pochissimi allo space lab, quando l'azienda si chiamava ancora Air Italy e l'ex Fiat Aviazione era già uscita dall'azionariato».

Cugno e il suo team hanno curato la realizzazione dei due nodi con quel pizzico di «fantasia ingegneristica», come dice lui, «che ci ha portato a diventare tra i leader del settore aerospaziale». E già perché il progetto del nodo 3 parte da lontano: è il 1997 quando Alenia vince la commessa. «Da allora abbiamo cambiato molte cose - dice - per esempio anni fa non si parlava di montare la cupola sul nodo».

Cugno, a Torino, ne ha visti passare di astronauti. Come l'italoamericano Charlie Camarda, che nei laboratori italiani veniva a testare le strumentazioni. Lo stesso Camarda protagonista del coraggioso return to flight dello shuttle dopo il disastro del Columbia nel 2003, in seguito silurato dalla Nasa per le dichiarazioni polemiche rilasciate contro l'ente in merito alla sicurezza degli shuttle. In Piemonte Camarda se lo ricordano ancora, certo per la sua voglia di volare ma anche per la passione per la vita notturna sotto la Mole. «Tutti i locali dei Murazzi erano suoi - dice un collaboratore che preferisce restare anonimo - chissà oggi che fine ha fatto?».

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